Siamo così

Ma era stato per uno di questi giochi banali che i primi trent’anni di vita in comune erano stati sul punto di finire, perchè un giorno non c’era sapone in bagno.

Era cominciato con la semplicità consueta. Il dottor Juvenal Urbino era tornato in camera da letto […] e si era messo a vestirsi senza accendere la luce. Lei se ne stava come sempre a quell’ora nel suo tiepido stato fetale, con gli occhi chiusi, il respiro tenue, e quel braccio da danza sacra sulla testa. Ma era nel dormiveglia, come sempre, e lui lo sapeva. Dopo un lungo rumore di amido di lino nel buio, il dottor Urbino aveva parlato tra sé: “È quasi una settimana che mi sto lavando senza sapone.”

Allora lei aveva finto di svegliarsi, si era ricordata, e si era scagliata con rabbia contro il mondo, perchè in effetti aveva dimenticato di mettere il sapone nel bagno. Ne aveva notato la mancanza tre giorni prima mentre era sotto la doccia e aveva pensato di metterlo dopo, ma poi se n’era dimenticata fino al giorno successivo. Il terzo giorno le era accaduta la stessa cosa. In realtà non era passata una settimana come diceva lui per aggravare la sua colpa, ma di certo tre giorni imperdonabili, e la furia perchè si sentiva colta in fallo aveva finito per farla uscire dai gangheri. Come sempre, si era difesa attaccando: “Io mi sono lavata in tutti questi giorni” aveva gridato fuori di sè, “e c’è sempre stato sapone”. Sebbene lui conoscesse benissimo i suoi metodi di guerra, questa volta non era riuscito a sopportarli. Col primo pretesto professionale se n’era andato a vivere nelle stanze per gli interni dell’Ospedale della Misericordia e si mostrava in casa solo per cambiarsi d’abito all’imbrunire, prima delle visite a domicilio. Lei se ne andava in cucina quando lo udiva arrivare, facendo finta di fare qualsiasi cosa, e rimaneva lì finchè non udiva in strada i passi dei cavalli della carrozza. Nei tre mesi successivi, ogni volta che avevano cercato di risolvere la lite erano solo riusciti ad attizzarla. Lui non era disposto a tornare finchè non lei non avesse ammesso che non c’era sapone in bagno, e lei non era disposta ad accoglierlo finchè lui non avesse riconosciuto di aver mentito apposta per tormentarla. L’incidente, com’è naturale, le aveva fornito l’occasione di evocare altri, molti altri litigi minuscoli di altrettante albe torbide. Alcuni risentimenti avevano rimestato gli altri, riaprendo vecchie cicatrici, trasformandole in nuove ferite, ed entrambi si erano spaventati nel constatare desolati che in tanti anni di lotta coniugale non avevano fatto molto di più che alimentare rancori. Lui era arrivato a proporre di sottoporsi insieme a una confessione aperta, con signor arcivescono se era necessario, affinchè fosse Dio a decidere come arbitro finale se c’era o non c’era sapone nel bagno. Allora lei, che così bene sapeva controllarsi, aveva perso le staffe con un grido storico: “‘affanculo il sognor arcivescovo!”

L’improperio aveva fatto vibrare le fondamenta della città, dando origine a chiacchere che non fu facile smentire, ed era rimasto incorporato al linguaggio popolare su un’aria da operetta: “‘affanculo il signor arcivescovo!”. Consapevole di avere superato i limiti, aveva prevenuto la reazione che si aspettava dal marito, e l’aveva minacciato di andarsene ad abitare da sola nell’antica casa del padre, che era ancora sua, sebbene fosse affittata per uffici pubblici. Non era una millanteria: voleva andarsene davvero, non le importava dello scandalo sociale, e il marito se ne era reso conto in tempo. Non ebbe il coraggio di sfidare i suoi pregiudizi: cedette. Non ammise che c’era sapone in bagno, perchè sarebbe stato un oltraggio alla verità, ma continuarono a vivere nella stessa casa, sia pure in stanze separate e senza rivolgersi la parola. Così mangiavano destreggiandosi nella situazione con tanta bravura da mandarsi i messaggi da un estremo all’altro della tavola tramite i figli, senza che questi si accorgessero che non si parlavano. […]

Di lì a quattro mesi, lui si era sdraiato a leggere sul letto matrimoniale finchè lei non fosse uscita dal bagno, come spesso accadeva, e si era addormentato. Lei gli si era sdraiata accando con abbastanza negligenza perchè si svegliasse e se ne andasse. Lui si era svegliato a metà in effetti, ma invece di alzarsi aveva spento la luce e si era sistemato sul guanciale. Lei gli aveva scosso una spalla per ricordargli che doveva andarsene nello studio, ma lui si sentiva così bene di nuovo nel letto di piume dei bisnonni che aveva preferito capitolare.

“Lasciami qui” disse. “Sì, c’era sapone.”

L’amore ai tempi del colera, Gabriel Garcia Marquez

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