L’unica

“Non preoccuparti” sorrise. “In qualsiasi luogo si trovi ora, lei ti sta aspettando.”

Amaranta Ursula uscì dal bagno alle quattro e mezzo del pomeriggio. Aureliano la vide passare davanti alla sua stanza, con una vestaglia a pieghe tenui e un asciugamano arrotolato in giro alla testa come un turbante. La seguì quasi in punta dei piedi, barcollando per la sbornia, ed entrò nella stanza nuziale nel momento in cui lei apSONY DSCriva la vestsglia e tornava a chiuderla spaventata. Fece un cenno silenzioso verso la stanza attigua, che aveva la porta socchiusa, e dove Aureliano sapeva che Gastòn era in procinto di scrivere una lettera.
“Vattene” disse senza voce.
Aureliano sorrise, la sollevò per la vita con le due mani, come un vaso di begonie, e la gettò supina sul letto. Con uno strattone brutale, la spogliò della tunica da bagno prima che lei avesse tempo di impedirglielo, e si sporse sull’abisso di una nudità appena lavata che non aveva nè una sfumatura della pelle, nè una venatura di peli, nè un neo recondito che l

ui non avesse già immaginato nelle tenebre di altre stanze. Amaranta Ursula si difendeva sinceramente, con astuzie di femmina saggia, donnolando il suo scivoloso e flessibile e fragrante corpo di donnola, mentre tentava di massacrargli le reni con le ginocchia e gli scorpionava in faccia con le unghie, ma senza che nè lui nè lei emettessero un sospiro che non potesse confondersi con la respirazione di un qualcuno che fosse in contemplazione del parsimonioso crepuscolo di aprile dalla finestra aperta. Era una lotta feroce, una battaglia a morte, che tuttavia sembrava sprovvista di qualsiasi violenza, perchè fatta di aggressioni distorte e di elusioni spettrali, lente, prudenti, solenni, di modo che tra l’una e l’altra c’era il tempo perchè tornassero a fiorire le petunie e che Gastòn dimenticasse i suoi sogni di areonauta nella stanza vicina, come se fossero due amanti nemici in cerca delle riconciliazione nel fondo di un acquario diafano. Nell’affanno dell’accanito e cerimonioso divincolio, Amaranta Ursula comprese che la meticolosità del suo silenzio era così irrazionale, che avrebbe potuto destare i sospetti del marito attiguo, assai più degli strepiti di guerra che cercavano di evitare. Allora cominciò a ridere con le labbra strette, senza rinunciare alla lotta, ma difendendosi con i morsi falsi e sdonnolando il suo corpo a poco a poco, finchè tutti e due si accorsero di essere al tempo stesso avversari e complici, e la zuffa degenerò in un ruzzo convenzionale e le aggressioni si trasformarono in carezze. Improvvisamente, come per gioco, come un’altra monelleria, Amaranta Ursula trascurò la difesa, e quando cercò di reagire, spaventata di ciò che ella stessa aveva reso possiblie, era ormai troppo tardi. Una commozione immane la immbolizzò nel suo centro di gravità, la seminò nel suo luogo, e la sua volontà difensiva fu demolita dall’ansia irresistibile di scoprire cosa erano i sibili aranciati e i globi invisibili che l’asepttavano dall’altra parte della morte. Ebbe appena il tempo di allungare la mano e cercare a tentoni l’asciugamano, e mettresi una mordacchia tra i denti, per non far uscire i strilli di gatta che già le stavano straziando le viscere.

Gabriel Garcìa Marquez, Cent’anni di solitudine

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